La storia di Catia Fanton, mamma affidataria: «Ho accolto trenta figli in trent’anni, si può fare anche da single»

La casa di Catia Fanton si è trasformata mille volte. Letti, culle, scrivanie, aree gioco sono apparsi o scomparsi dalle camere da letto a seconda delle necessità. «Dopo un mese dal loro arrivo, quando sono abbastanza grandi, di solito ci sediamo al tavolo. Decidiamo insieme se gli spazi ci piacciono così oppure se c’è qualcosa da riorganizzare. Questa modalità dà loro fiducia, si sentono accolti. Si crea un clima di stabilità, anche se temporanea». Fanton è diventata affidataria negli anni Novanta e, da allora, ha accolto una trentina di bambini. Maschi e femmine, di poche settimane e adolescenti, italiani o di origine straniera, alcuni con una disabilità. Ha sempre preferito prendere più affidi in contemporanea. E, se all’inizio si parlava solo di un paio di ragazzi, ora è stata inserita tra le «famiglie comunità», ovvero una tipologia di affidamento che permette di ospitare più di due minori insieme. Quotidianamente si fa in quattro: «C’è da pensare alla macchina rotta — dice — al dentista, alla lampadina da cambiare. In casa oggi siamo in sei».

C’è un ragazzo che è stato preso in carico quando aveva dieci anni e che, oggi, ne ha 25. Ha deciso di restare. In più ci sono altri tre bambini, di cui due andranno in adozione a breve, e una ragazza maggiorenne. Di necessità ce ne sono parecchie e Catia Fanton si occupa di tutto da sola, lei che è un’affidataria single. Una condizione che, in principio, ha rappresentato un ostacolo: «Per il primo affido ho dovuto aspettare diverso tempo, circa un anno e mezzo. Persino i servizi facevano fatica a lasciarsi andare e io avevo la sensazione di avere gli occhi addosso, proprio perché da sola. Ma ho insistito e insistito ancora. Infine, direi che sono stata promossa».

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